La musica, linguaggio da imparare Se vogliamo che un canto funzioni, si inserisca come segno sacro all’interno della celebrazione, aiuti veramente la preghiera dell’assemblea, dobbiamo conoscere, rispettare, far funzionare bene il linguaggio della musica. È questo l’altro campo in cui tutti gli operatori dovranno impegnarsi ancora di più per il futuro.
Sappiamo che la musica è un linguaggio fatto di regole, di tecniche particolari, con una varietà di sonorità espressive e di realtà esecutive: occorre perciò preparazione, competenza, esperienza. Se si utilizza l’attrezzo musica, esso va conosciuto per impiegarlo bene e al massimo di tutte le sue possibilità.
Preparazione
C’è ancora molto cammino da fare: il campo è ancora occupato da incompetenti, improvvisatori, strimpellatori, a volte neanche animati da buona volontà, ma da presunzione che comunemente si accompagna all’ignoranza.
Occorrono scuole di musica sacra, corsi e seminari di studio e specialmente la consapevolezza da parte del sacerdote, ultimo responsabile della celebrazione liturgica, di avere animatori musicali degni e competenti. Così come ci si preoccupa di formare i catechisti, gli animatori pastorali, i responsabili del gruppo giovani, altrettanto impegno va posto per formare i responsabili della musica liturgica: la guida dell’assemblea, il direttore di coro, i solisti, i cantori l’organista e gli altri strumentisti.
Saper leggere uno spartito, insegnare un canto, saper dirigere l’assemblea, imparare ad usare l’organo a canne, sfruttare le nuove sonorità delle tastiere elettroniche, usare bene la chitarra classica, cantare bene un salmo, saper intonare un canto, arricchire di una seconda voce il canto dell’assemblea, conoscere le varie forme musicali: non sono optional facoltativi e liberi, ma sono l’essenza stessa del nostro servizio musicale.
Offesa al canto
Una delle ragioni per cui non si fa funzionare il canto come segno liturgico, è da ricercarsi proprio nel maltrattamento e nel cattivo e inadeguato utilizzo della musica.
Perché il coro grida sempre sguaiatamente?
Perché l’assemblea rallenta tutti i tempi e intona il canto tre o quattro toni sotto l’altezza giusta?
Perché il solista non rende comprensibili le parole?
Perché l’organista non sa utilizzare i vari registri dell’organo?
Perché il direttore del coro non sa dare gli attacchi giusti?
Perché si assegnano le parti del solista al coro e le parti del coro all’assemblea?
Perché si scelgono canti non adatti alla propria assemblea?
Perché l’abuso della forma canzone?
Perché non si riesce a mantenere l’intonazione per tutta la durata di un canto?
Perché il suono dell’organo sovrasta la voce del solista?
La risposta è una sola: si adopera uno strumento, la musica, e non si conosce bene il suo funzionamento. Tale strumento è sott’utilizzato e trascurato.
Occorre buttarsi a capofitto in questo lavoro lungo e apparentemente non essenziale: non si tratta di tecniche soltanto, di interpretazioni, di scelte funzionali, di linguaggi specialistici, ma tutte queste realtà sono a servizio della preghiera e della celebrazione.
Celebrazioni sciatte, povere, inadeguate, orizzontali, non aiuteranno né la preghiera né la fede dei partecipanti; al contrario celebrazioni ben preparate, bene animate, bene eseguite, aumenteranno la fede e la preghiera dei presenti, e l’esperienza ce ne dà conferma.
Qualità specifiche
Ecco dunque le qualità specifiche che deve avere un canto liturgico:
o espressione del Mistero di Cristo che viene celebrato (musica e celebrazione)
o riferimento costante alla Parola (musica e Parola)
o alimento per la preghiera (musica e preghiera)
o inserito in ciascun momento rituale (musica e rito)
o in sintonia con lo spirito del tempo liturgico (musica e anno liturgico)
o aiuto per una partecipazione piena e consapevole (musica e assemblea).
Ne derivano alcune conseguenze operative:
o una visione più ampia e profonda della ministerialità
o ripensamento dei ritmi e dei tempi celebrativi
o non continuare ad insegnare canti nuovi, ma educare a pregare cantando
o introdurre ai vari gesti della preghiera cantata
o imparare a cantare con la novità del cuore, anche se i canti sono vecchi e le parole sempre quelle.
Le conclusioni allora le lascio ai Padri. Come non citare la stupenda pagina di Agostino: “Quante lacrime versate, ascoltando gli accenti dei tuoi inni e cantici, che risuonavano dolcemente nella tua Chiesa! Una commozione violenta: quegli accenti fluivano nelle mie orecchie e distillavano nel mio cuore la verità, eccitandovi un caldo sentimento di pietà. Le lacrime che scorrevano mi facevano bene” .
Molto belle anche le espressioni di Gregorio di Nissa: “Suona il salmo: è voce dello Spirito.
Suona l’Evangelo: è voce dello Spirito.
Suona l’omelia: è voce dello Spirito.
Lo Spirito parla nel silenzio, e poi esplode nel canto:
quando lo Spirito para, tace la voce;
e quando lo Spirito tace, la voce proclama”.
Antonio Parisi
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