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NON POTREMO DIMENTICARE

La voce dello Spirito in un tempo di prova

LETTERA PASTORALE 2020

PIERANTONIO TREMOLADA, VESCOVO DI BRESCIA

 

Gli inviti che ci vengono dall’esperienza vissuta

 

primo invito a puntare sull’ essenzialità della vita cristiana;

secondo a sentirsi comunità nell’appartenenza viva alla Chiesa;

terzo a promuovere coraggiosamente un rinnovamento della società,

quarto, infine, a mantenersi nella prospettiva del mistero eucaristico

 

Prima essenzialità :

 

Concentrarsi sull’essenziale della vita cristiana

 

Il tempo della pandemia è stato per certi aspetti un tempo di purificazione. Abbiamo dovuto improvvisamente lasciare abitu­dini che si erano tranquillamente accasate nel nostro vissuto quo­tidiano, abitudini che riguardavano le relazioni con gli altri e con noi stessi, l’uso dei beni, del tempo e degli ambienti. Si è imposto un cambiamento che ha assunto anche la forma di un alleggerimento. Credo che questo ci abbia fatto bene. Più volte ci siamo infatti det­ti - penso in particolare agli incontri con i sacerdoti - che anche nella vita della Chiesa c’è bisogno di «tornare all’essenziale», pun­tando su ciò che costituisce il cuore dell’esperienza cristiana. Ma, appunto, cos’è l’essenziale della vita cristiana? Su che cosa ci do­vremmo dunque concentrare, raccogliendo il primo invito di que­sta esperienza cruciale?

 

L’esperienza dell’amore in Cristo Gesù

 

L’essenziale della vita cristiana va ricercato nell’approfondi­mento del senso stesso della parola “vita”. Vivere non coincide sem­plicemente con l’essere al mondo, non è neppure un sopravvivere o un vivacchiare. C’è un’intensità nel termine “vita” che lascia intra­vedere una dimensione misteriosa.

I Vangeli ci rivelano che la vita è propria di Dio stesso e che l’uomo ne partecipa per grazia, in forza dell’opera compiuta da colui che è disceso dai cieli come redentore: «In lui - dice l’evangelista Giovanni riferendosi al Verbo eterno - era la vita e la vita era la luce degli uomini» (Gv 1,4).

 

Dal Vangelo di Giovanni

1 In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
2 Egli era, in principio, presso Dio:
3 tutto è stato fatto per mezzo di lui
e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
4 In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
5 la luce splende nelle tenebre
e le tenebre non l'hanno vinta.
6 Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
7 Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
8 Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.
9 Veniva nel mondo la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
10 Era nel mondo
e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;
eppure il mondo non lo ha riconosciuto.
11 Venne fra i suoi,
e i suoi non lo hanno accolto.
12 A quanti però lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
13 i quali, non da sangue
né da volere di carne
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.
14 E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi abbiamo contemplato la sua gloria,
gloria come del Figlio unigenito
che viene dal Padre,
pieno di grazia e di verità.

 

E nella sua prima lettera, pensando all’esperienza vissuta con Gesù, Giovanni dichiara:

«La vita si manifestò, noi l’abbiamo veduta e di ciò diamo testimonianza» (1Gv 1,2).

Gesù stesso dirà in un passaggio del suo insegnamento: «Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (Gv 10,10).

Alcuni passi, lo dicono in modo chiarissimo e toccante. «Questo è il messaggio che avete udito da principio: che ci amiamo gli uni gli altri» (1Gv 3,11);

«Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita perché amiamo i fratelli»

«In questo si è manifestato l’amore di Dio in noi: Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito perché noi avessimo la vita per mezzo di lui» (1Gv 4,9);

«Questo vi ho scritto perché sappiate che possedete la vi­ta eterna voi che credete nel nome del Figlio di Dio» (lGv 5,13).

 

La vita e l’amore qui si sovrappongono fino a identificarsi.

Il segreto della vita vera, intensa, luminosa e travolgente, è l’amore, la cui sorgente è in Dio stesso. Questo è il grande annuncio che il Cristo ha portato al mondo con la sua testimonianza. L’amore come piena espressione della vita è la lieta notizia che l’umanità ha ricevuto dalla Parola eterna venuta in mezzo a noi dalla gloria del mistero trinitario.

Il segreto della vita è dunque l’amore. Amare ed essere amati consente di sentirsi vivi. Senza questo la vita diviene semplice routi­ne, uno stare al mondo spaesati e inquieti, spesso impauriti. L’amore è la prova sperimentata del senso del vivere, dimostra che 1’esistenza non è assurda. Lo fa non attraverso disquisizioni raffinate e alla fine fredde, ma riempiendo il cuore di consolazione e di gratitudine.

 

Lo fa, inoltre, conferendo alla vita una forma ben precisa, quella che an­che gli altri potranno constatare e di cui si rallegreranno. San Paolo la lascia intravedere in queste parole che scrive ai cristiani di Corin­to: «La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità» (ICor 13,4-6).

 

Ecco dunque che cosa siamo chiamati anzitutto a testimo­niare come discepoli del Signore. L’essenziale della vita cristiana sta qui: nel mostrare che la vita e l’amore sono la stessa cosa, che l’una rivela l’altro a fondamento di se stessa. Qui sta l’essenza dell’evange­lizzazione e questa è la missione della Chiesa.

 

Se vogliamo, dunque, che la Chie­sa sia generativa nella sua azione a favore del mondo, dovremo fare dell’amore l’essenza della nostra pastorale, dovremo fare tutto con amore e per amore.  Alla fine, dunque, non ci è chiesto qualcosa di complicato e di pesante. Direbbe il santo curato d’Ars: «Questo è il bel compito dell’uomo: pregare ed amare. Se voi pregate ed amate, ecco, questa è la felicità dell’uomo sulla terra»5.

 

Il primato del cuore

 

L’esperienza dell’amore mette in campo il cuore come sog­getto primo di riferimento. È con il cuore infatti che si ama. È solo nello slancio del cuore che ci si apre a Dio e si corrisponde al suo amore.

Il Libro del Deu­teronomio così riassume l’opera che il Signore si attende da Israele suo popolo: «Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Si­gnore. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze» (Dt 6,4-5). Quando chiederanno a Gesù qual è a suo giudizio il comandamento più grande, egli risponderà proprio citando queste parole. Prima di ogni impegno del fare c’è lo slancio del cuore. A Dio interessa anzitutto essere riconosciuto e amato per quello che è, poi di essere obbedito.

 

I rischi di una religione senza cuore - ci insegna la Parola di Dio - sono fondamentalmente due: il primo è quello di conside­rare Dio un padrone che impone la sua volontà attraverso una legge inappellabile; il secondo è di trasformare la sua rivelazione in una serie di regole e di tradizioni religiose che valgono per se stesse. Nel primo caso la religione verrà percepita come nemica della propria li­bertà e quindi rifiutata; nel secondo, si trasformerà in un elemento del proprio mondo e sarà posta al servizio della propria gratificazio­ne. In entrambi i casi Dio scompare dall’orizzonte. Senza un cuore che ama non è possibile conoscere Dio. Si confonderà la religione con l’osservanza di leggi e tradizioni. È paradossale, ma si può osservare la legge di Dio senza amare lui.

Quando interviene il cuore la libertà non si sente mortifica­ta. Nessuno può imporre nulla dall’esterno ad un soggetto libero. De­ve essere lui stesso a decidere cosa fare. Ma questo non significa ne­cessariamente che si debba decidere di fare solo ciò che si vuole o ciò che piace. Si può liberamente decidere di fare qualcosa che un altro ci chiede, magari con impegno e con coraggio. La condizione è che si abbia fiducia in lui e che si senta vero e buono per sé quello che viene chiesto. Appunto, “si senta”. È qui che entra in gioco il cuore. Non si tratta semplicemente di emozione, ma di un potente movimento inte­riore, che ci afferra facendo convergere tutte le facoltà del nostro essere. Abbiamo bisogno di una pastorale che tocchi il cuore, che lo raggiunga, che lo interpelli e lo attiri.

 

Abbiamo bisogno di un’opera di evangelizzazione che faccia sentire la grandezza e la bellezza del mistero di Cristo, che porti a dire: «Gustate e vedete com’è buono il Signore» (Sai 34,9); una pastorale dell’interiorità, non intimistica ma autenticamente personale - come ho cercato di dire nella mia prima lettera pastorale6. Una simile pastorale saprà smascherare e contrastare tutti gli “-ismi” che ben conosciamo: il sentimentalismo, il devozionalismo, il volontarismo, il moralismo, ma anche il razio­nalismo. Sarà una pastorale della libertà e della coscienza. Sono convinto che in una pastorale capace di toccare il cuore avranno un ruolo decisivo l’accostamento personale e comunitario della Pa­rola di Dio e l’esercizio del discernimento, cioè la capacità di legge­re quanto accade intorno a noi e dentro di noi. Di questa pastorale hanno bisogno soprattutto le nuove generazioni.

 

L'apertura all'azione dello Spirito santo

 

«Credo nello Spirito santo, che è Signore e dà la vita», così recita il Simbolo della nostra fede, cioè quella solenne e sintetica professione di fede che ripetiamo ogni domenica nella celebrazione dell’Eucaristia.

Dal giorno della Pentecoste lo Spirito santo è personalmen­te all’opera nel mondo. Il cardinale Carlo Maria Martini esprime così questa profonda convinzione «Lo Spirito c’è, anche oggi, come al tempo di Gesù e degli Apostoli: c’è e sta operando, arriva prima di noi, lavora più di noi e meglio di noi; a noi non tocca né seminar­lo né svegliarlo, ma anzitutto riconoscerlo, accoglierlo, assecondar­lo, fargli strada, andargli dietro». Sento particolarmente vere queste ultime parole. Davvero lo Spirito sta giocando la grande partita dell’evangelizzazione dell’epoca contemporanea. E certo non la perderà. Egli cerca collaboratori, uomini e donne, che si consegnino all’opera creativa della sua grazia.

 

 

DOMANDE PER LA RIFLESSIONE COMUNITARIA

  1. Leggi con attenzione e sottolinea i passi più interessanti.
  2. Come si potrebbe tradurre in atteggiamenti personali e comunitari.

Il Don

don Alberto Cinghia