L'omelia pronunciata dal vescovo Pierantonio in occasione della Veglia delle palme
Carissimi giovani,
nessuno di noi avrebbe mai immaginato di vivere così la Veglia della Domenica delle Palme. Ricordo quanto avvenuto lo scorso anno e quello precedente: la chiesa cattedrale colma in tutti i suoi spazi, la vostra presenza vivace e festosa. Ora, mentre vi parlo, la nostra bella cattedrale è completamente vuota. Il mio sguardo deve concentrarsi su delle telecamere accuratamente posizionate, che trasmettono quanto accade qui sull’altare. Uno scenario surreale cui nostro malgrado siamo stati costretti ad abituarci, a causa di questa tremenda epidemia che ci ha colpiti.
Il pensiero va soprattutto ai nostri ospedali, ai malati che là lottano, ai loro cari che vorrebbero assisterli e non possono, ai meravigliosi medici e infermieri che operano instancabili a rischio della loro stessa salute. Molti – troppi – non ce l’hanno fatta e ci hanno lasciato. Accolti dalle braccia misericordiose del Padre, si sono congedati da noi senza poter neppure salutare. Erano per la maggior parte i nostri padri e le nostre madri, i vostri nonni e le vostre nonne, i più deboli tra noi, i più esposti, per il carico degli anni e per la fragilità del corpo. Questa epidemia, che non fa distinzione di persone, si rivela fatale soprattutto per chi è meno in grado di difendersi e proprio per questo può rubare la vita anche a chi non è avanti negli anni, quando vi sono o si ingenerano ulteriori complicazioni. Per grazia di Dio sembra che voi – cari giovani – siate più capaci di contrastarla. Siate tuttavia prudenti e rigorosi nel rispettare le indicazioni date dalle competenti autorità. Non mettete a rischio la vostra vita e quella degli altri, più deboli di voi.
Già prima che si scatenasse questo uragano, avevo in cuore di condividere con voi in questa veglia delle Palme una riflessione che attingesse all’omelia che avevo proposto alla città di Brescia lo scorso 15 febbraio, in occasione della Festa dei santi patroni Faustino e Giovita. Sentivo forte il bisogno di lanciarvi un appello, di affidarvi una sorta di mandato, riconoscendo in voi i protagonisti del mondo di domani. Quanto ora sta accadendo mi sembra renda questo invito ancora più pressante. Ed ecco allora che sto per dirvi. Vi costerà – temo – un po’ di attenzione, avrà la forma di una riflessione forse un po’ intensa. Oso sperare che non vi sarà di peso.
Sto da tempo riflettendo sulla forma che ha assunto il nostro modo di vivere (bisogna ora dire, prima che all’improvviso venisse così radicalmente sconvolto). Tra i tanti interrogativi che mi sono sorti spontanei, tre in particolare mi sono apparsi inderogabili.
Il primo: come è possibile accettare tranquillamente questa vergognosa contraddizione, che cioè 800 milioni di persone non abbiano il necessario per vivere e un numero ristretto della popolazione mondiale produca generi di consumo in misura del tutto esagerata e perciò scarti buona parte di quello che produce?
Il secondo: come si può restare indifferenti di fronte al drammatico allarme che ci viene dai cambiamenti climatici in atto e dalle conseguenze che si prospettano per un futuro già prossimo?
Il terzo: come si deve interpretare il fenomeno sconcertante del calo della natalità proprio nei paesi dove il benessere economico è maggiore?
Sono a mio giudizio segnali evidenti di uno squilibrio e di uno scontento. Con questi interrogativi aperti mi sono accostato alla Lettera Enciclica di papa Francesco sulla cura della casa comune, intitolata Laudato sì, e ho potuto confrontarmi con la sua lucida lettura della situazione attuale. Ne ho ricavato una convinzione personale che vorrei esprimere così: ci siamo incamminati ormai da molto tempo su una strada sbagliata e pericolosa. Abbiamo pensato che la qualità della vita dipendesse prevalentemente, se non esclusivamente, dall’economia e dalla tecnologia. Ci siamo lasciati ispirare, più o meno consapevolmente, da questo principio: si vive bene là dove il potere di acquisto è più alto, dove la quantità e la varietà dei prodotti è maggiore e dove la tecnologia è più evoluta. Abbiamo incoronato la pubblicità sovrana della nostra comunicazione sociale: le abbiamo offerto in dono ogni spazio fisico e mediatico, senza troppi riguardi per sentimenti o relazioni, piegandoci alla sua ferrea logica commerciale. Abbiamo fatto della tecnologia il nostro paradiso, affascinati dalla sua dirompente innovazione, e della scienza che la governa l’unico criterio interpretativo della realtà.
Siamo sicuri di aver fatto bene? Siamo certi di aver intrapreso la direzione giusta? Siamo davvero convinti che il simbolo del progresso di una società siano i centri commerciali e le Silicon Valley? Provo un attimo a pensare diversamente e mi dico: non potremmo valutare il tasso di progresso di una società a partire dal clima di fiducia che vi si respira, dalla gioia di vivere che vi si percepisce, dalla capacità di accogliersi, dalla normale pratica dell’onestà, dalla sincerità e lealtà nei rapporti, dalla presa in carico di coloro che sono più fragili, dall’offerta di una sicurezza che sia difesa esterna ma anche pace interiore, dalla lotta contro ogni forma di povertà, dall’impegno reale a integrare culture differenti, dall’attenzione educativa per le nuove generazioni, dal sostegno offerto alle famiglie, dalla promozione del dialogo intergenerazionale, dal rispetto e la cura per l’ambiente, dalla promozione della cultura a tutti i livelli e dall’esercizio della politica come servizio alla comunità civile? Non ci darebbe maggior respiro immaginare così la nostra convivenza civile?
Questo – carissimi giovani – è ciò che mi stava a cuore dirvi nella singolare veglia delle Palme che stiamo vivendo. Questo è l’invito che io vorrei farvi nel turbine dell’epidemia da Coronavirus. Voi vedrete il mondo di domani, che sicuramente ricorderà questi giorni. Costruitelo sin d’ora su un fondamento diverso da quello attuale, che sta dimostrando proprio in questo momento drammatico e doloroso tutta la sua fragilità.
L’economia e la tecnologia non sono in grado di reggere da sole una società. Esse infatti non contemplano il senso del limite, non tollerano la debolezza e non lasciano spazio al calore di un abbraccio o alla profondità di uno sguardo. Inoltre, presuppongono la sostanziale cancellazione della dimensione verticale della vita, che porta spontaneamente a guardare in alto e a guardarci dentro. L’economia e la tecnologia ci appiattiscono sulla dimensione orizzontale e in più la svuotano della sua carica relazionale, rendendo il mondo grigio e freddo e togliendo luce all’orizzonte futuro. Ne sono un chiaro segnale, a livello ambientale la contaminazione del pianeta e a livello sociale l’incremento del tasso di aggressività, particolarmente evidente nei cosiddetti social.
Quanto all’esperienza che stiamo vivendo, potremmo dire che sta smascherando clamorosamente l’illusione nella quale siamo caduti. Davanti a questa epidemia fino a ieri inimmaginabile, l’economia e la tecnologia sono finiti in fondo alla classifica: al primo posto è balzata la vita con la sua carica di umanità, il bisogno di relazione, la rilevanza dei sentimenti, la sete di speranza, la necessità di affidarsi a qualcuno oltre il limite della propria impotenza. Improvvisamente ci siamo resi conto che ogni vita è un valore, che da soli non ce la si fa, che una parola amica è preziosa quanto l’ossigeno che respira, che la vera libertà non è fare quello che si vuole ma quello che si deve, con generosità e coraggio. La libertà senza vincoli e l’individualismo narcisista hanno rivelato in questa situazione di emergenza tutta la loro meschinità.
La comunione, la solidarietà, la dedizione, insieme con la responsabilità, la determinazione e la costanza ridisegnano il profilo di una società che potrà essere decisamente diversa da quella attuale. È questo il compito che è affidato a voi – cari giovani – a partire da quel potente senso di umanità che deriva dalla riscoperta della dimensione verticale della vita, cioè dallo sguardo rivolto alle altezze dei cieli e alle profondità del cuore.
Siamo giunti a questa veglia delle Palme contemplando il mistero sublime della Trinità. L’abbiamo fatto guidati dall’apostolo Giovanni – l’evangelista teologo – e dall’icona di Andrej Rublëv. Qualcosa che mai avremmo immaginato di sentirci dire ci è stato annunciato, quasi con commozione. Dio non è uno nel senso di una singola soggettività sussistente ma è uno nella comunione d’amore delle tre sante persone: il Padre, il Figlio, lo Spirito santo. Dio è amore totale e perfetto, è scambio di sguardi celesti, è costante circolarità di bene nella luce abbagliante della gloria. Come dice bene Dante a conclusione della Divina Commedia, Dio è “l’amor che move il sole e le altre stelle”. In questo amore sostanziale e originario si fondono il bene, il bello e il vero, in un’esperienza che viene poi offerta all’intera umanità e rappresenta il segreto di ogni beatitudine. Gesù l’aveva annunciato così ai suoi discepoli, facendo intuire l’azione in noi dello Spirito santo: “Se uno mi ama osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14,23). E aveva aggiunto: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace” (Gv 14,25).
Questo – cari giovani – è il vero fondamento della società che siamo chiamati a costruire. Questo amore che abita i cieli è la potenza in grado di dare forma a un mondo realmente riconciliato, dove le relazioni e i sentimenti hanno il primo posto, dove il bene di tutti è la regola di ciascuno, dove la bellezza del creato suscita gratitudine.
“Alzati e diventa ciò che sei!”: così dice papa Francesco a ciascuno di voi nel messaggio che quest’anno vi ha rivolto per questa giornata annuale della gioventù. “Alzati, sogna, rischia, impegnati per cambiare il mondo!”. È invito che ben si adatta a questo momento cruciale e alla riflessione che abbiamo condiviso. Non sappiamo come sarà il mondo tra alcuni mesi, dopo questa prova sconvolgente e dolorosa. Di certo sarà un mondo che avrà bisogno delle vostre forze e prima ancora del vostro cuore. Probabilmente ci sarà molto da ricostruire. Occorrerà farlo insieme. Voi – cari giovani – soprattutto voi, aiutateci a farlo non tornando a replicare il passato ma aprendo la strada ad un futuro nuovo e più luminoso.
Il Signore della vita, di cui ci apprestiamo a vivere nel mistero pasquale la manifestazione gloriosa, sia guida al nostro cammino.